Koh Phangan, Thailandia, 15 Marzo 2015


Perché Thailandia?

È la quarta volta che vengo in Thailandia. Ogni volta che posso, che ho dei soldi, che ho delle settimane, vengo qui. Ma spiegare il perché non è facile.


La prima volta è stata nel 2007 ed è stata la linea di confine rispetto ad una vita che non sentivo più mia. Lasciata quella vita, girato la Thailandia per quasi tre mesi, a quella vecchia vita fatta di ufficio, routine, treno di pendolari, non sono più riuscita a tornare. 

(Se sei curioso di conoscere la mia storia, di come mi sono licenziata per inseguire il mio sogno, leggi "Diario di viaggio e di un sogno: Thailandia - India 2007)

Questo paese mi ha fatto qualcosa, un incantesimo… O forse una maledizione… non lo so, so solo che ogni volta che torno a casa, dopo un certo periodo, a volte mesi, a volte anni, ad un certo punto la Thailandia diventa una malattia. I ricordi iniziano a diventare dolorosi, e l’unica cosa che posso e riesco a fare è tornare.

Ma che cos’è la thailandia per me?

Rappresenta quel luogo dentro di me in cui tutto è possibile, in cui vive la magia, in cui avvengono i miracoli, solo che lo vivo all’esterno, posso interagire con le cose, con le persone, posso partecipare al miracolo, posso essere il miracolo.

Tutti hanno dentro di sé un luogo del genere e tutti hanno nel mondo un luogo che corrisponde esattamente a quello spazio interiore, uno spazio in cui potersi guarire, conoscere, amare. Tutti hanno quel luogo speciale, solo che non lo sanno perché magari non ci sono mai arrivati.
Ma io si.

Come si può vivere una vita sapendo che quel luogo esiste e non fare di tutto per tornarci, almeno di quando in quando?
Ma ancora di più, come si può vivere senza trovare quel luogo? 
Come si può vivere senza conoscere mai quel se stesso felice, rilassato, sano, nel massimo potenziale, nel massimo della fiducia?…
Come si fa?
O forse è meglio non scoprirlo mai e continuare a credere di essere quello che ci hanno insegnato che siamo?...

Quello che è certo è che a me non è più concesso rimanere nel dubbio, quella pagina, in quel libro, l’ho già girata, l’ho già letta e non posso più far finta che non esista.

Non so se è il luogo, o l’alchimia del luogo con la mia energia, ma dopo qualche settimana, spesso addirittura dopo qualche giorno, il mio corpo inizia a cambiare, il mio viso, la mia salute, tutto sembra tornare ad una sua ancestrale armonia, tutto inizia a muoversi come secondo un’antica danza perfetta, semplice, fatta di piccole cose dolci, pulite, sentite, che mi nutrono. E non è perché qui le preoccupazioni sembrano appartenere ad un altro universo, ma perché qui nessuno ha bisogno di essere niente di diverso da ciò che è, qui nessuno ha bisogno di cercare di conquistare niente, di conquistarsi il diritto di vivere.

Eppure questa Thailandia è sempre diversa, e così io.

Spesso mi trovo a confrontare i ricordi di quella prima incredibile esperienza, con la realtà di una Thailandia che è tutto tranne che perfetta, piena di fortissimi contrasti, di giochi continui tra la luce e l’ombra dei thailandesi e della loro cultura.

Ogni volta l’illusione di aver trovato un paradiso si diluisce un po’, come quel vestito che da ragazzina amavi tanto, ti calzava perfetto e ti faceva sentire una principessa. Gli anni passano, quel vestito pian piano invecchia, come te, non ti sta più così bene, ma non te lo dice il cuore di chiuderlo in un cassetto. Non ancora. Non sei pronta. E così ogni tanto lo indossi, ti specchi, non capisci se a cambiare sei stata tu o lui, eppure ha ancora quella magia che nessun altro vestito ha mai avuto.  

Anche qui in Thailandia c’è qualcosa che ogni volta sembra cambiare tutto completamente anche se è magari un unico particolare, ma è quel particolare che improvvisamente riempie tutto, oppure svuota tutto. 
Come il thai coffee con il latte condensato, che 8 anni fa trovavo ovunque e poi è scomparso, come se non fosse mai esistito.
O i branchi di cani selvatici che alle volte diventavano addirittura pericolosi, questa volta, almeno qui a Koh phangan sono scomparsi e sono invece comparsi diversi ristoranti vegani e scuole di yoga.
O ancora i fisherman pants, i pantaloni thai che tradizionalmente vengono utilizzati dai pescatori (da qui il nome), molto larghi che si adattano ad ogni taglia e ad ogni statura, che prima erano esposti ovunque e quasi non si poteva acquistare altro, e che ora sono stati sostituiti da pantaloni così variopinti da sembrare quasi ipnotici.

E io sono qui immersa in una natura da cartolina, la tranquillità delle spiagge semi deserte, le sere tranquille con il sonno che arriva in fretta, il rumore del mare. L’isola di Koh Phangan è veramente un piccolo paradiso, come tante altre isole in questa terra meravigliosa. Famosa per il full moon party che si svolge nel sud dell’isola, regala anche angoli dedicati ad un altro spirito, non quello dei secchielli stra colmi di cocktail, ma quello divino, quello dell’integrità di corpo, mente e anima.

E poi spiagge mozzafiato, snorkeling in una barriera corallina non eccezionale, almeno quella che ho potuto vedere io nel nord, ma sfondo di gradevolissimi tour in barchette così piccole che quando ti ci fanno sistemare in 20, ti danno tante di quelle raccomandazioni (non alzarti, non muoverti, non fumare… respirare?) da desiderare di farti il segno della croce, ma ops, vietato anche quello sennò affonda.

… Bellissimo, un sogno, un paradiso. Ma questa non è la Thailandia che conoscevo, che sono venuta a ritrovare. Il nord, ecco quello che cerco, il verde della giungla, la pace dei templi, l’odore dei fritti.
Questo ritroverò da domani, lasciando quest’isola e risalendo verso Bangkok e poi Chiang Mai, e poi chissà. Ora so che non sono fatta per il paradiso, non mi ci riconosco.

Ma ci ho messo un po’ a capirlo… ci sono luoghi, energie, tempi, in cui è facile perdersi, fermarsi, dimenticare che stavi viaggiando, che ti stavi muovendo verso qualcosa. Questo mi è accaduto nelle ultime settimane, dovevo restare qui nel piccolo paese di Sri Tanu al massimo dieci giorni, per fare il digiuno, recuperare le forze e poi ripartire. Sola, come in tutti i viaggi che più ho amato. Ma poi qualcosa è successo. 
Le persone. 
Ecco cosa mi è successo.

Di solito sono molto gelosa dei miei spazi, del mio tempo, dei miei luoghi “sacri” in cui meditare e ritrovare me stessa, per questo viaggio da sola, ma questa volta l’unica disponibilità per dormire all’Orion Center era il dormitorio , e mi sono detta:
<<Perché no? Devo rimanere solo pochi giorni>>.
E addirittura per giorni eravamo solo due in uno stanzone per 14.
<<Che fortuna mi dicevo>>. Come sbagliavo.

Pian piano il digiuno finiva e i letti si riempivano. E così il mio cuore, che svuotandosi da vecchi ricordi ha iniziato a fare spazio a nuovi visi, nuove parole, nuovi abbracci.
E così queste persone sconosciute, nel dormitorio come nei luoghi comuni in cui il cibo e la mancanza di cibo sembravano essere gli unici discorsi di “peso”, sono diventate la cosa importante.

Prima l’osservare le stranezze e le singolari inclinazioni di ognuna, con curiosità mista a fastidio, imparare pian piano ad apprezzarle e poi addirittura ad amarle… per vedere che quelle stesse stranezze potevo accettarle in me stessa, sentirmi libera e autorizzata ad esprimermi senza la sensazione di invadere gli spazi degli altri, con il piacere di avvertire che l’invasione altrui nei miei momenti, era in verità un enorme dono.

Ora so che uno dei motivi per cui amo così tanto la Thailandia è che quando sono qui l’unica cosa importante sono gli altri. Tutti quegli altri che mi circondano. Il tempo è speso non tanto nell’osservare e vivere i luoghi, per quanto meravigliosi, quanto ad ascoltare le persone, a condividere esperienze, emozioni, paure e sogni. Ecco cosa manca nella vita di ogni giorno, questo contatto vero, semplice, spontaneo. Il tempo di parlare per parlare, per ascoltare, per conoscere davvero. E se è vero che nessun uomo è un’isola, a volte è proprio un’isola che può aiutare a ricordare che cosa questo significhi.

E così, dopo alcune settimane comprendo che quello che ogni volta torno a cercare qui in Thailandia, non è il luogo che anni fa ho visitato e lasciato, ma una persona che qui ho conosciuto, che mi ha sorpresa, che ho amato. Ed è quella persona che ogni volta torno a cercare perché spesso a casa mi dimentico che volto abbia. Qui, lasciando andare tutto ciò che credo di dover trattenere per non sentire mancanze ma che in realtà crea solo eco nel vuoto, qui ritrovo quella persona, ne ricordo il nome, ne rivedo il volto, ed è il mio.



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2 commenti:

  1. Anche tu la Thailand addiction ... brutta malattia. In agosto sarà la 12 volta per me.
    Brava ... bel blog. Ci sto provando anche io a scrivere ...

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  2. E' una malattia gravissima lo so, della serie:
    ciao, sono Georgia, e sono Thailand addicted... ahahaha
    :-) se ti fa piacere inviarmi qualche tuo scritto di viaggio lo pubblico volentieri! di sicuro in questo blog la thailandia farà da padrona di casa...

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